A Mantova, nel mio campo, trovate 2 tipi di piante da indaco: il guado (Isatis tinctoria) e la persicaria giapponese (Polygonum tinctorium)
La persicaria giapponese (Persicaria tinctoria), detta indaco giapponese (Japanese knotweed in inglese), è la pianta del blu che si sta diffondendo di più nel popolo dei tintori. Cresce bene alle nostre latitudini e si può coltivare facilmente anche in vaso sul balcone. Regala le tonalità dall’azzurro chiaro al blu carta da zucchero anche a chi è alle prime armi e non vuole imbarcarsi nella tintura al tino tradizionale.
La scelta di coltivare soprattutto la Persicaria è dovuta allo spazio che ho a disposizione in campagna. La persicaria ha una resa in indaco migliore del guado a parità di superficie. L’obiettivo è riuscire a produrre del colorante non solo per me, ma anche per fare le prove in tintoria industriale quindi ho bisogno di piante con maggiore resa a parità di superficie coltivata.
Purtroppo sia il guado che la persicaria non hanno le rese in blu dell’indigofera indiana a parità di kg fresco di pianta fresca. Quindi per riuscire ad avere un bel blu è necessario lavorare con molte più piante.
Oltre alla prova di coltivazione in campo ho avuto l’occasione di lavorare con il progetto di Lucchini – Sese di vertical farm. Se date un occhio a rai play troverete la trasmissione di “Indovina che viene a cena” del 3 settembre 2022. Sabrina Giannini ci porta nel mondo del blu jeans e ad un certo punto c’è la prova sperimentale di crescita dell’indaco in serra, in vertical farm. Ci sono anch’io. Ho partecipato al lavoro dando piante e competenze sul colore. Al momento visti i costi troppo elevati e le rese molto basse di colorante non ho la possibilità di provarlo in tintoria, quindi non vi so dire se è la strada giusta, ma sicuramente il progetto della vertical farm è molto innovativo.
Un po’ di informazioni
La pianta è parente stretta della persicaria dei fossi, ma muore con le prime gelate e non c’è pericolo di infestazioni. Cresce in primavera ed estate e la sua fioritura può essere bianca o rosa. Ci sono diverse varietà che si riconoscono oltre che per il colore dei fiori anche per la forma della foglia lanceolate o arrotondate.
La resa in indaco delle due varietà sembra identica, cambiano le dimensioni dei semi e i tempi di fioritura. In tutti i casi è una pianta che ama l’acqua, quindi meglio predisporre un impianto di irrigazione a goccia.
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Estrazione: scegli quella che ti piace di più…
L’estrazione si può fare in molti modi, probabilmente è questo che entusiasma tutti. Si può macinare fresca con aceto e ghiaccio, o sale e utilizzare il succo per tingere la seta. Si può decidere di estrarre in modo tradizionale con il sukumo (una sorta di compost) oppure facendo una macerazione in acqua (puoi leggere l’articolo precedente sul guado https://www.officinadelcolorenaturale.it/blu-di-francia/ ). Nello shop a breve troverete sia i pacchetti di pianta secca che la polvere blu, per fare le prove.
Evoluzione di un pigmento
Quando ho trovato il campo eravamo in piena pandemia, nel 2020, e ho seminato e piantato circa 200 cespugli di piante. Arrivavo dall’esperienza in un orto e l’obiettivo era capire come gestire una coltivazione in modo industriale e quali rese avrebbe dato. Alla fine della stagione avevo circa 3 kg di polvere azzurra e grossolana.
Le prime prove di estrazione non erano un granché, troppo sporche di residui e calce (usata per precipitare il blu). Nonostante questo si riusciva a tingere.
Pulendo la polvere dai carbonati sono riuscita a concentrare di più il blu e le prove in tintoria a Como mi hanno dato dei toni carta da zucchero, bellissimi, anche se sono stati considerati NON adeguati da un noto brand del mondo del cotone. Quindi, testarda come un mulo, mi son data da fare per migliorare l’estrazione. Quest’anno (2022) ho cambiato il processo di estrazione e migliorato decisamente la resa, rispetto agli anni passati. Il processo è più veloce e uso meno acqua.
Ormai è 3 anni che sbatto la testa nel mondo dell’estrazione e ho capito che se in teoria posso arrivare ad avere 1 kg di polvere blu pura al 100% (100%di indigotina), pari a un colorante sintetico, in realtà a livello pratico non è possibile. Richiede molti passaggi che portano a concentrare il prodotto e allo stesso tempo a diminuire il peso. I costi di produzione /kg quindi aumentano e di conseguenza anche il prezzo di vendita diventa improponibile. La concorrenza inoltre con i coloranti blu asiatici diventa enorme.
Ma serve concentrare così tanto il prodotto per tingere? Dipende dall’applicazione e dal tono di blu richiesto.
Se devo tingere un filo/tessuto e mi viene richiesto il “blu notte” dei jeans, purtroppo è necessaria una concentrazione alta. Questo per evitare di sciogliere grosse quantità di colore. L’indaco è insolubile in acqua e richiede diversi passaggi prima di andare in macchina. Inoltre durante la tintura non si scioglie mai completamente (è una redox difficile da controllare e rendere efficiente), quindi più blu metto maggiore sarà la resa. Considerate che le polveri naturali non hanno mai il 100% di principio colorante, di solito un indaco asiatico arriva ad avere il 40% di blu sul kg che vi vendono, mentre un indaco sintetico ne ha più del 90%. Quindi se devo avere molto blu (principio colorante) sceglierò il prodotto con una % di indigotina (il principio colorante) maggiore, per evitare di sciogliere in macchina quintali di polvere.
Non sempre vi rilasciano una scheda tecnica con la % di indigotina, quindi è difficile capire se il prodotto va bene prima dell’acquisto e la prova di tintura.
I prodotti con maggiore quantità di indaco sono asiatici e americani. Questo perché ottengono il blu da piante di indigofera che ne producono di più fisiologicamente. Attenzione che ci sono anche i furbi che vendono i prodotti dichiarati naturali ed invece sono dei miscugli di sintetico/naturale o falsi.
Allora perché devo comprare o produrre un indaco in Europa?
Già, bella domanda. Provo a rispondere.
Comprando in Asia la prima domanda che mi hanno fatto in tintoria è stata: ma siamo sicuri che è naturale? Non c’è la possibilità di rispondere con certezza. Bisognerebbe andare di persona a vedere e questo implica una grossa fiducia..Conoscete qualche tintore che si fida?
Poi viene spontaneo chiedersi com’è il processo di produzione fatto così lontano. Sarà pulito? La salute dei lavoratori sarà tutelata? Ci sarà un adeguato compenso?
Qualcuno se ne lava le mani di queste considerazioni, guardano la certificazione Gots e ZDHC, altri invece vogliono avere la certezza della naturalità ed ecocompatibilità del colore.
Per quanto riguarda la naturalità del prodotto sono riuscita ad avere la risposta solo con l’aiuto delle analisi chimiche. Spesso compriamo indaco certificati naturali, ma che sono in realtà delle miscele di naturale e sintetico. E’ davvero difficile distinguere un’indigotina naturale da una sintetica chimicamente, perché sono la stessa molecola. Per vedere le differenze devo guardare il contorno e cercare delle molecole tipiche delle piante o altri coloranti vegetali. Per esempio la traccia dell’indirubina (isomero dell’indigotina, parente stretto) è una spia che ci da l’indicazione del naturale.
Visto che l’unico modo di dimostrare che uso indaco naturale è produrlo, ho piantato quello che cresce da noi: la persicaria e il guado. Magari crescesse l’indigofera, qui c’è troppo freddo, ma la persicaria resiste!
Pazienza se 1 kg di blu da persicaria è meno blu (ha meno indigotina ) di un 1 kg di indigofera indiana…vorrà dire che sarà un blu europeo , italiano.
Infine lavorando devo seguire la normativa italiana ed europea che penso sia una garanzia per la salubrità del prodotto, mia e dell’ambiente.
Ultima domanda. Quanta indigotina ha quest’anno il mio blu, dopo aver migliorato l’estrazione?
Per lavorare in modo serio penso sia necessario fornire più informazioni possibili. Le analisi fatte sono state con hplc e spettrofotometro da un laboratorio esterno.
L’indaco prodotto ha l’8% di indigotina e il 3% di indirubina (la frazione rossa). Le prove fatte in tintura tradizionale mi hanno dato un bel blu quando ho utilizzato una concentrazione di 10 g/L con soda caustica e idrosolfito, mentre 20g/l con calce e fruttosio. Le immersioni sono sempre almeno 3. In un tino da 30 litri son arrivata a tingere 1 kg di fibre, nel modo tradizionale.
Ora cerco chi mi permetta di fare le prove in macchina industriale. Contattami se ti può interessare una collaborazione.